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Biden: la volontà non basta

Aggiornamento: 3 giorni fa

di Fausto Fantò ed Emanuele Davide Ruffino

 



La storia ci ha insegnato che le Nazioni possono crescere e progredire anche quando al potere c’è un bambino di pochi anni: dal Re Sole (Le Roi Soleil ossia Luigi XIV), che salì al trono quando aveva meno di 5 anni, ad Enrico IV d’Inghilterra, re a 9 mesi, o ai duchi Francesco Giacinto e Carlo Emanuele II figli di Amedeo I, incoronati ad appena 5 anni. Ma dietro di loro c’era un establishment o personalità del calibro di Mazzarino, Richelieu o Madama reale (Cristina Maria di Borbone, la Madame Royale, moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia) che sapevano reggere le sorti dello Stato. Oggi, il problema degli attuale potenti della terra non è la salute, ma che sappiano gestire in modo razionale le sfide che si impongono nelle società complesse. Anche sul Santo Padre e su Putin sono state numerose le indiscrezioni sulle loro condizioni fisiche; ma si è trattato di diagnosi derivate da trasmissioni televisive, il cui margine di non-scientificità è elevato. Non a caso, per diversi mesi i media hanno continuato ad ipotizzare le più svariate patologie di cui sarebbe stato affetto il presidente russo (tra le più gettonate una malattia tumorale in fase evolutiva e una malattia neurodegenerativa) e i vari esperti ad ipotizzare scenari futuri fino ad individuare gli ipotetici successori. La cosa è andata diversamente e noi oggi vediamo il Presidente Putin spostarsi da una capitale all’altra per chiedere sostegno politico e aiuti militari per la guerra che ha scatenato contro uno Stato Sovrano. 

Dopo l’incontro televisivo dell’altra notte tra i due candidati alla Casa Bianca Joe Biden e Donald Trump, e le “titubanze” emerse sul primo, molte voci si sono alzate, anche all’interno dello stesso partito democratico, per chiedergli un passo indietro e rinunciare alla corsa per la presidenza. Anche in questo caso, come già successo per Vladimir Putin, si sono sprecate le diagnosi di ipotetiche malattie e le conseguenze che ciò potrebbe rappresentare per il proseguimento della campagna elettorale e la sua eventuale rielezione. Il ritardo nei movimenti, l’impaccio della parola, le frasi non sempre di senso compiuto, riconducono in letteratura a possibili forme di parkinsonismo, su cui sono cominciate a formulare diagnosi (forse più dettate dalle passioni politiche che non su dati clinico-anamnestici).

Platone dice che “Quanto più si accetta la vecchiaia, quanto più profondamente si coglie il senso della vita e quanto più netta è l'obbedienza nei confronti della verità, tanto più autentica e preziosa è la fase della vita la quale porta quel nome. Poiché anche la vecchiaia è vita.”, ma oggi la statistica, pur confermando la visione del grande filosofo, non ne certifica l’automatismo.

Il gossip (per non parlare di voyeurismo politico) ha sempre attratto la curiosità fino ai limiti dell’indecenza (si pensi all’indegno comportamento dei fotografi in occasione della morte di Lady Diana), ma qui si sta parlando di chi regge i destini della Terra e dispone delle chiavi della valigetta per far scoppiare una guerra nucleare. I problemi dei potenti del mondo ci riguardano direttamente, specie se dubitiamo degli entourage che li circondano, impegnati, come sembrano essere, in disquisizioni dottrinali o in beghe di potere, più che a prendere decisioni razionali in tempi brevi.

Diversamente dal passato dove i leader, selezionati attraverso duri percorsi di formazione all’interno di classi dirigenti disposte al sacrificio per il bene comune, si mettevano a disposizione delle idee in cui credevano, rifuggendo quasi dal cercare la notorietà, oggi la società mediatica pone una morbosa attenzione e rilevanza sulla personalità del leader. Le stesse campagne elettorali si concentrano maggiormente sul personaggio che non sui valori che s’intende rappresentare. Nei regimi democratici è ovvio che chi espone le idee rappresenta un valore aggiunto di indubbia rilevanza, ma oggi si vota più sul “mi piace quel personaggio” che non sul “è capace di governare in base ai principi che rappresenta”.

Nella sua storia il Partito Democratico americano già si era trovato nella condizione di (ri)presentare un presidente gravemente malato, Franklin Delano Roosevelt. Ma era il 1944, in piena II Guerra Mondiale e la scelta fu quella di fare quadrato per il IV mandato consecutivo del vecchio presidente che rivinse le elezioni, praticamente senza partecipare alla campagna elettorale. Oggi i “tempi” sono cambiati, anche nel senso che gli intervalli con cui si devono prendere le decisioni si sono notevolmente abbassati, fino a rasentare l’immediatezza: ne consegue che “al timone” ci devono essere persone preparate e con i nervi saldi. Tutto il resto, più che noia, può diventare pericoloso.

 

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