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Assalto alla libertà: da Berlusconi a Renzi e Di Maio

di Mauro Nebiolo Vietti|

Per quanto possa apparire improbabile c’è un fil rouge che collega Berlusconi, Renzi e Di Maio ed è rappresentato dall’elaborazione di proposte (e loro introduzione nel nostro ordinamento) finalizzate a minare alcuni fondamenti della nostra Costituzione. Ma cominciamo dall’inizio. I nostri Padri Costituenti avevano immaginato un’elezione a suffragio universale mediata dai partiti ove ogni elettore esprimeva le proprie preferenze scegliendo tra i candidati che il partito di riferimento gli proponeva. Avveniva così che, per lo più, gli eletti erano espressioni del territorio ove tale espressione poteva assumere più configurazioni, ma tutte riconducibili ad un modo di essere del candidato che, per i particolari profili che egli presentava all’elettore, al termine della campagna risultava eletto. Dopodiché il gioco si spostava a Roma dove in ogni partito il gruppo degli eletti diventava determinante nelle scelte della politica, ma anche e soprattutto in quella dei vertici di partito. Ci si intenda, già in allora i segretari di partito tendevano a favorire uomini a loro vicini, ma erano pur sempre condizionati dalla necessità di scegliere profili di rilievo che garantissero una ragionevole raccolta di consensi. Il sistema era quindi incrociato; l’eletto condizionava l’elezione del segretario, ma questi cercava di far eleggere soggetti a lui vicini e da questa antitesi ne guadagnava il principio di rappresentanza perché garantiva un ragionevole livello di preparazione e capacità degli eletti ed un loro collegamento con il territorio, senza il quale un partito difficilmente riesce ad individuare gli interessi collettivi ritenuti meritevoli di tutela. La prima picconata è stata opera di Silvio Berlusconi, dominus incontrastato di Forza Italia, che ha proposto le liste bloccate decise dai vertici. Che cosa significa? In buona sostanza l’elettore vota il partito e gli eletti saranno quelli decisi dalla segreteria con buona pace del potere di scelta degli elettori sui singoli candidati. L’obiettivo era evidente: concentrare nelle mani del segretario o del capo partito di turno la nomina dei deputati garantendogli in tal modo un potere esteso in grado di soffocare ogni dissenso con la minaccia di non riproporre la candidatura del soggetto indisciplinato. Berlusconi ottenne un consenso plebiscitario da tutti i segretari di partito (ricordo Fausto Bertinotti, leader Maximo di Rifondazione comunista, che andò a Porta a Porta a difendere la proposta) e questa divenne legge dello Stato. A sua volta, Matteo Renzi, segretario del Pd e presidente del Consiglio, volle perfezionare il sistema presentando una riforma costituzionale che nascondeva tra le pieghe un progetto istituzionale negato dalla Costituzione. Per meglio comprenderne la portata occorre considerare che, se si era introdotta la possibilità di nominare direttamente alla carica di deputato i soliti yesman o soggetti modesti che garantivano ossequio al capo, qualche grattacapo lo procurava il Senato dove vale tuttora il vecchio sistema elettorale. Il progetto di Renzi relegava Palazzo Madama a funzioni secondarie con l’effetto che le funzioni di controllo sul potere esecutivo erano concentrate soltanto sulla Camera dei deputati. Si creava così un corto circuito perché chi nominava i membri del potere legislativo (Camera dei deputati) erano i segretari e, tra questi, quello che rappresentava la maggioranza era anche il Presidente del consiglio. Avveniva così che il potere legislativo (Camera dei deputati) esercitava il controllo sul potere esecutivo (Governo), ma il Presidente del Consiglio, in qualità anche di segretario, nominava i soggetti deputati a controllarlo come capo del governo. Un piccolo tentativo di golpe finito nel cestino. Ora ci si è messo anche l’ex capo politico del Movimento Cinque Stelle Luigi Di Maio con referendum costituzionale del 20 e 21 settembre di tagliare di un terzo il numero dei parlamentari. Si tratta di un’iniziativa in linea con quanto sopra illustrato perché il raddoppio delle superfici territoriali dei collegi annullerà ogni residuo collegamento con il territorio, già quasi estinto dal sistema di nomina diretta, ma si tratta di un inconveniente compensato da equivalenti vantaggi a livello centrale. Infatti i segretari di partito, pure accorti nelle scelte delle persone idonee a non costituire minaccia futura per il loro potere, sanno che nella massa potrebbe sempre nascondersi qualche forte personalità; nel ridurre le nomine, si riduce proporzionalmente anche i rischi. Di Maio non è solo del tutto in questo assalto alla rappresentanza, a dispetto delle affermazioni pubbliche o di circostanza avverse all’iniziativa che si presentano tuttavia con varie sfumature. Il PD, per esempio, sotto questo profilo, è un caso shakespeariano, “essere o non essere”: prima ha detto no, poi ha deciso per l’appoggio alla proposta, ma ora pare che abbia cambiato idea, lasciando a tutti libertà di coscienza. Un modo da “capitani coraggiosi”, di evitare, come d’altronde avviene da tempo, di prendere una decisione. I partiti di opposizione di centro destra invece tacciono. Formalmente sono contrari, ma dopo aver manifestato inizialmente la propria posizione, non ne hanno più parlato ed il sospetto che gradirebbero un successo referendario potrebbe essere fondato. L’articolo 1 della nostra Costituzione recita “la sovranità appartiene al popolo”, ma a questo punto si dovrebbe parlare di “sovranità limitata”.

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