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Argentina, sciopero contro Milei che si affida al prestito dell'FMI

di Jacopo Bottacchi

 

Ieri, giovedì 10 aprile, la principale centrale sindacale argentina, la Confederación General del Trabajo (CGT), insieme alle due Central de Trabajadores de la Argentina (CTA-A e CTA-T) ha convocato uno sciopero generale contro il governo di Javier Milei, presidente dell'Argentina dal 10 dicembre 2023. Si tratta della terza astensione generale dal lavoro dall’inizio del suo mandato, dopo quelle del 24 di gennaio e del 9 maggio 2024; per contestualizzare i numeri, è importante ricordare che dal ritorno della democrazia, nel 1983, sono stati convocati 47 scioperi generali. Con la terza astensione generale dal lavoro in 17 mesi di governo, Javier Milei sale così sul “podio” nella non invidiabile classifica dei presidenti argentini più contestati dalle organizzazioni sindacali, perlomeno in un così breve lasso di tempo. 


Terza astensione dal lavoro dal mandato presidenziale

Allo sciopero hanno aderito in massa, tra gli altri, l’intero settore dei trasporti, con la sola eccezione degli autisti di autobus urbani, i lavoratori della scuola e quelli del sistema bancario. Tra le motivazioni, i sindacati hanno citato soprattutto la violazione dei diritti dei lavoratori, in un mercato sempre più frammentato e nel quale i diritti sono costantemente sotto attacco, anche a causa della crescente informalità o, come diremmo colloquialmente, del numero di lavoratori “in nero”.

I manifestanti rivendicano, oltre agli aumenti economici per i pensionati, soprattutto la necessità di mantenere paritarias libres y homologadas, ovvero contrattazioni tra sindacati e datori di lavoro libere e senza restrizioni, per garantire le condizioni di lavoro e soprattutto quelle salariali, anche a fronte dell’inflazione che, seppur in fortissimo calo nell’ultimo anno, continua ad essere il grande problema del paese.

Le riforme approvate da Milei nel corso del 2024 non hanno fatto altro che peggiorare - a dispetto della propaganda governativa - un contesto già drammatico: tra i vari provvedimenti, spiccano l’estensione del “periodo di prova” ad un anno, l’eliminazione delle multe per chi impiega lavoratori “in nero” e, tra le cause di licenziamento, l’introduzione della partecipazione ad azioni sindacali.

Le conseguenze sono state prevedibili, con una crescente instabilità e un indebolimento delle organizzazioni dei lavoratori. Inoltre, il governo ha annunciato più volte che nuove riforme sono in arrivo nei prossimi mesi con il dichiarato obiettivo di distruggere ulteriormente quanto poco è rimasto dei diritti dei lavoratori.  

A fronte del grande successo dello sciopero generale, rivendicato dai sindacati e confermato dalle immagini “spettrali” e a un tempo effervescente di una Buenos Aires sostanzialmente paralizzata dallo sciopero generale, stupiscono e lascia amareggiati alcuni degli articoli pubblicati dai nostri mezzi di informazione anche in questi giorni. Un'autentica disinformazione.

Propaganda governativa

Si continua a parlare di “miracolo argentino”, del Presidente che "sta rimettendo in piedi il Paese", o della "deregulation che fa tornare l’Argentina a crescere", ma in molti sembrano dimenticarsi, almeno a queste latitudini, dei costi che l’azione di Milei ha avuto e sta avendo in termini di diritti, anche dal punto di vista socio-economico: solo per citare uno tra i tanti dati, la povertà in Argentina ha superato ampiamente il 50% nei primi due trimestri dello scorso anno, anche se, fortunatamente, i dati del 3° trimestre sono stati decisamente migliori, attestandosi poco al di sotto del 40%. Una percentuale che comunque è ancora lontanissima dal potersi considerare accettabile.

Fin dalla sua elezione Milei si è impegnato a cancellare, passo dopo passo, un pezzo di storia recente e non dell'Argentina. Se avevamo già scritto del taglio dei Ministeri e di quello legato alle politiche per la parità di genere, vale la pena sottolineare come nell’ultimo anno e mezzo in Argentina si è assistito ad un attacco generalizzato verso lo stato sociale. Le politiche pubbliche approvate nel corso degli anni del kirchnerismo (2003-2015, e 2019-2023), che avevano avuto l’indubbio merito di cercare di rendere “di massa” lo Stato sociale, seppur con molti limiti, oggi vengono descritte da Milei e dai suoi alleati come scelte di parte, frutto di una concezione clientelare e della “corruzione” di quei governi, e non come un’importante tappa dell’estensione dei diritti sociali in Argentina.

Una nuova tappa di questo attacco si è registrata anche nelle reazioni del presidente allo sciopero generale: nelle stazioni ferroviarie infatti era possibile leggere messaggi che definivano lo sciopero come un “attacco alla Repubblica”, sostenendo che “la casta sindacale attenta milioni di argentini che vogliono lavorare”. Ancora più duro poi è stato il comunicato ufficiale del Governo, che paragona i leader sindacali a “animali selvaggi che, accerchiati, contrattaccano per sopravvivere”

Si tratta di uno schema che conosciamo bene, anche ad altre latitudini, replicato in formati "autoctoni" da tutti i movimenti di estrema destra che vediamo affermarsi nel mondo; con la scusa di combattere presunti privilegi o di “debellare” l’agenda woke dei governi precedenti, si cercano di eradicare decenni di progressi sociali e di smantellare lo Stato sociale.

 

Identikit del presidente argentino

Pur non potendo ripercorrere l’intera biografia del Presidente in questa sede, vale la pena ricordare che fino al 2015 Javier Milei era conosciuto solo nei ristretti circoli degli economisti ultraliberali. I primi scampoli di notorietà risalgono a meno di 10 anni fa, grazie alle sue dichiarazioni polemiche, che gli valsero una presenza fissa in diverse trasmissioni televisive; proprio nella sua esperienza televisiva si potuto assistere ad una sorta di radicalizzazione “in diretta”, con una crescita progressiva della sua violenza ideologica e verbale, a cui si accompagnava quella degli ascolti delle trasmissioni che lo ospitavano.

Tutti gli osservatori concordano che il vero momento di svolta nella sua celebrità furono la pandemia e il lungo confinamento argentino; in quei mesi la riproposizione di spezzoni dei suoi interventi sui principali social network avrebbero trasformato Milei in una vera e propria star. La sua traiettoria politica sarebbe stata così rapida e folgorante: eletto Deputato Nazionale per la prima volta nel 2021, solo due anni dopo sarebbe stato il candidato più votato nelle PASO (elezioni primarie), diventando presidente nel ballottaggio di fine 2023.

Molto si potrebbe scrivere sulle condizioni e le motivazioni che hanno portato alla vittoria di Milei, che ovviamente sono ben radicate nella crisi politica ed economica argentina. Le proteste di ieri, tuttavia, dimostrano ancora una volta, come in occasione delle manifestazioni dello scorso febbraio contro i suoi discorsi omofobi e machisti, che l’agenda di Milei continua fortunatamente ad incontrare oppositori anche in patria.     

Vale la pena, infine, sottolineare che lo sciopero del 10 aprile è arrivato alla vigilia di una giornata chiave per il futuro economico dell’Argentina: oggi il Fondo Monetario Internazionale si riunirà per approvare un prestito da 20 miliardi di dollari, già “sbloccato” dall’equipe tecnica del fondo, dando così il via ad una nuova tappa della lunga e turbolenta relazione tra il paese latinoamericano e l’organizzazione internazionale con sede a Washington. Nell'ottica dell'FMI, il prestito dovrà “sostenere la fase successiva dell'agenda di riforme in Argentina, mirate a consolidare la stabilità macroeconomica, rafforzare la sostenibilità esterna e sbloccare una crescita forte e più sostenibile, gestendo al contempo il contesto globale più impegnativo". Una scommessa ad altissimo rischio, visti i precedenti.

Inoltre, secondo il sito "Infobae" il presidente Usa Donald Trump ha in animo di concedere a Buenos Aires un'altra linea di credito che dovrebbe essere formalizzato lunedì prossimo, 14 aprile, in occasione della visita in Argentina del segretario di Stato al Tesoro, Scott Bessent (nella foto).

Tuttavia, grazie al rapporto privilegiato di Milei con l’inquilino della Casa Bianca, suggellato anche dalla sua partecipazione all’ultima CPAC (la grande conferenza degli ultraconservatori) a lato di Elon Musk, lo scorso febbraio, sembra probabile che il leader de La Libertad Avanza sia destinato a reclamare sempre più spazio nella politica internazionale, perlomeno fino alle prossime presidenziali del 2027, continuando a promuovere la sua discutibile agenda ideologica. Che i lavoratori argentini non hanno avuto difficoltà, a quanto pare, a bocciare in toto.




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