Ambizioni, delusioni e speranze mosse dal G20 di Rio de Janeiro
Aggiornamento: 3 ore fa
di Jacopo Bottacchi
Il 18 e 19 novembre è tornato a riunirsi il G20, questa volta a Rio de Janeiro, sotto la Presidenza brasiliana. Si tratta della diciannovesima edizione dell’incontro tra i leader delle 20 maggiori economie del mondo, che si riunirono per la prima volta nell’ormai lontano 2008 a Washington, ancora durante la presidenza di George W. Bush. Questo G20, già “depotenziato” in partenza a causa dell’assenza del grande convitato di pietra, il Presidente statunitense eletto Donald Trump, ha trovato pochissimo spazio sui media nazionali e internazionali, anche a causa della sua concomitanza con la COP29 di Baku, alle continue notizie post-elettorali statunitensi e alle audizioni dei Commissari Europei designati da parte del Parlamento Europeo. A ciò non è estraneo un elemento oggettivo: le speranze legate al vertice erano poche, visto il difficile contesto internazionale.
Le non "marginali" schermaglie con Musk
Ci sono però almeno due questioni centrali di questo G20 di cui è importante discutere: la prima, all’apparenza più “frivola”, è in realtà l’ennesima tappa della relazione turbolenta tra la democrazia brasiliana e i social media. Ma andiamo per ordine: è diventata nota ai più la dichiarazione o, meglio, l’insulto che la first lady Rosangela “Janja” da Silva ha rivolto ad Elon Musk, a margine di uno degli incontri “di contorno” del vertice sulla disinformazione; il proprietario di X e futuro membro del governo Trump si è ovviamente affrettato a risponderle, nel suo stile, con un laconico “perderanno le prossime elezioni”, riferendosi naturalmente al Partido dos Trabalhadores del Presidente Lula.
Un evento che potremmo tranquillamente derubricare come una nuova pagina delle schermaglie verbali Musk versus il Resto del Mondo, del quale anche il nostro paese è stato protagonista nelle scorse settimane, se non fosse appunto per quanto successo in Brasile negli ultimi anni. Senza volerci dilungare troppo, vale la pena ricordare che ormai da 10 anni la democrazia brasiliana vive un rapporto particolarmente turbolento con le grandi piattaforme del digitale; tutto ebbe inizio con le grandi proteste contro il governo di Dilma Rousseff, iniziate tra il 2013 e il 2014, che negli anni successivi avrebbero trovato terreno fertile per la loro crescita su Facebook, uno dei principali canali di diffusione della propaganda anti-governativa che, anche a seguito di una grave crisi economica, avrebbe contribuito alla crisi di consensi dell’allora Presidentessa, culminata con l’impeachment del 2016.
Brasile: social e tentato golpe di Bolsonaro
Lo stesso Facebook e un altro social media del gruppo Meta sarebbero stati decisivi anche per l’affermazione di Jair Bolsonaro: “o tio do zap”, letteralmente “lo zio di whatsapp”, che condivideva notizie false e propaganda bolsonarista, divenne una figura centrale e “mitologica” nell’affermazione dell’ex capitano dell’Esercito, anche grazie all’utilizzo di bot e ai pesanti investimenti economici sulla comunicazione attraverso i gruppi whatsapp. Il “gabinete do odio”, il nome del gruppo di assistenti più vicini a Bolsonaro, guidato dal figlio Carlos e responsabili dell’implementazione di questa strategia, è stato accusato formalmente, proprio ieri, giovedì 21 novembre, a due anni dall'apertura delle indagini della polizia federale, di aver tentato un colpo di stato dopo le elezioni vinte dal suo avversario Lula. Complessivamente sono 36 le persone, oltre a Bolsonaro, su cui il procuratore generale brasiliano, Paulo Gonet, dovrà decidere il rinvio a giudizio o l'archiviazione dell’indagine.[1] Nel corso dell'inchiesta, peraltro, era emerso anche un possibile legame tra l’équipe bolsonarista e l’Agência Brasileira de Inteligência, l’equivalente dei nostri servizi segreti.
E arriviamo così alla tappa più recente di questo conflitto, quella con X ed Elon Musk. Ad agosto una sentenza del Supremo Tribunal Federal aveva ordinato la chiusura di alcuni profili sul social network, responsabili di diffondere fake news; come parte della sua battaglia per la “libertà di parola”, sulla quale in questa sede è bene sorvolare, Musk si era naturalmente rifiutato di rispettare la sentenza, chiudendo l’ufficio del social network in Brasile.
Le dichiarazioni finali dei leader
A fronte di questa scelta, un nuovo pronunciamento della Corte aveva intimato a Musk di nominare un legale rappresentate per X in Brasile e, di fronte al mancato accoglimento della richiesta, aveva disposto la sospensione del social network nel paese, un “embargo digitale” che sarebbe durato per ben 39 giorni, provocando enormi danni soprattutto per quanto riguarda in numero di utenti della piattaforma.
Arriviamo così all’ultimo episodio di tensione, nel quale è coinvolta (seppur indirettamente) anche la Presidenza della Repubblica. Un episodio solo apparentemente frivolo appunto, come si è scritto sopra, ma in realtà serissimo: non solo per il futuro ruolo di Musk nell’amministrazione Trump, ma anche e soprattutto perché parte di un dibattito molto più ampio sul legame tra governi e grandi multinazionali, ma soprattutto sul rapporto tra democrazia e universo social, in un mondo “onlife”[2], iperconnesso, nel quale la distinzione tra essere online o essere offline è sempre più sfumata, se non inesistente. E, in qualche modo, è particolarmente importante e significativo che questo tema, ormai universale, venga sollevato da un paese del sud globale.
Se la diatriba su X è stato l’elemento più “pop” di questo G20, la dichiarazione finale dei leader, alla quale dopo anni di esperienza abbiamo imparato a dare il giusto peso, è ovviamente l’elemento politico principale.
Sarebbero molti i temi di cui discutere, ma ne scegliamo uno, ovvero quello che dava anche il titolo a questa riunione: “costruire un mondo giusto e un pianeta sostenibile”.
Tre erano le priorità indicate dalla presidenza brasiliana:
1) Inclusione sociale e lotta alla fame e alla povertà
2) Sviluppo sostenibile, transizione energetica e azioni climatiche
3) Riforma delle istituzioni di governance globale.
82 Paesi per una nuova "Alleanza globale"
Il grande risultato dell’incontro è stata la nascita dell’“Alleanza globale contro la fame e la povertà”, fortemente voluta da Lula, a cui hanno aderito 82 paesi. E anche in questo caso non sono mancate le polemiche, soprattutto da parte del presidente argentino Javier Milei, che prevedibilmente ed in linea con le sue posizioni ultraliberiste si è opposto non solo al multilateralismo, ma anche all’idea di un intervento pubblico massiccio per combattere la povertà e ridurre le disuguaglianze. In conclusione dei lavori, Milei ha accettato di firmare la dichiarazione congiunta, impegnando il suo paese a far parte della nuova “Alleanza Globale”, pur ribadendo che questo non significherà alcun tipo di azione concreta.
Ma, come sottolineano molti autorevoli osservatori brasiliani, quella di Milei è stata soprattutto una “prova generale” in vista del ritorno di Trump, con l’obiettivo di riaffermare il ruolo del presidente argentino di “distruttore” del sistema internazionale multilaterale, volendosi presentare in questo senso come uno dei possibili grandi alleati proprio del prossimo presidente USA.
Dal punto di vista brasiliano, il patrocinio dell’“Alleanza Globale contro la fame e la povertà” invece può invece essere considerato un successo. Il terzo mandato come Presidente di Lula era iniziato, nel 2022, con una dichiarazione ben chiara: “se alla fine del mio mandato ogni brasiliano potrà mangiare colazione, pranzo e cena, avrò compiuto la missione della mia vita”. Peccato che, le stesse identiche parole, erano state pronunciate dallo stesso Lula esattamente 20 anni prima, nel primo discorso come presidente-eletto nel 2002.
Sarebbe però ingiusto sostenere che questi 20 anni siano passati invano: non possiamo qui dilungarci nell’analisi del primo “ciclo” del Partido dos Trabalhadores[3], ma tra il 2003 e il 2014 ben 40 milioni di persone erano effettivamente uscite dalla povertà, tanto da alimentare l’immagine del Brasile come nuovo gigante globale, in grado di guidare la transizione del “sud del mondo” verso un futuro luminoso. La gravissima crisi economica che ha colpito il paese dal 2014 , quella politica avviata con l’“Operaçao Lava Jato” (la Mani pulite brasiliana, nelle parole dello stesso giudice che guidò il processo, Sergio Moro) ed infine gli effetti della pandemia hanno prodotto una nuova “decada perdida”, nella quale i progressi di inizio millennio sono stati quasi azzerati. Essere riuscito ad includere nell’agenda del G20 il tema è quindi un successo non solo a livello di politica interna, ma anche per il ruolo internazionale che il Brasile di Lula ha sempre ambito ad avere.
Politica fiscale: i super-ricchi nel mirino
Con questo G20 il Brasile ha provato nuovamente a presentarsi al mondo come guida del sud globale, un’ambizione che aveva già caratterizzato i primi due mandati di Lula, quando il Paese aveva voluto presentarsi ed era stato percepito come uno dei possibili grandi riformatori del sistema internazionale; il contesto del 2024 però è radicalmente diverso da quello degli anni ’00 e dei primi anni ’10, e soprattutto il Brasile è oggi un attore molto meno solido, influente e potente di quanto non sia stato nel recente passato. Se nel 2009 l’Economist parlava del “take off” brasiliano, presentando il paese come “il migliore” tra i BRICS, oggi non c’è alcun dubbio sulla predominanza della Cina all’interno di quell’alleanza, anche grazie all’enorme penetrazione economica che ha ottenuto anche in America Latina a partire dalla grande crisi del 2007.
Tornando al documento finale, un ultimo elemento merita di essere citato: la risoluzione ribadisce la necessità di implementare sistemi fiscali maggiormente progressivi e soprattutto di assicurare che i super-ricchi vengano effettivamente tassati. Un obiettivo ambizioso e di difficile realizzazione, che difficilmente porterà a risultati concreti, ma comunque importante, quantomeno come dichiarazione di principio.
Tracciare un bilancio di questo G20 è particolarmente difficile: sarebbe forse ingeneroso ritenerlo un fallimento completo, visto quanto scritto in precedenza, ma il vertice ha purtroppo confermato le aspettative della vigilia, tutt’altro che ottimiste, su molti dei temi in discussione, a partire dalla mancanza di un serio impegno, anche economico, per affrontare la crisi climatica nei paesi in via di sviluppo
La prossima presidenza di turno sarà quella del Sudafrica, un altro dei paesi dei BRICS. Non resta che attendere per capire se i buoni propositi di Rio troveranno un seguito e soprattutto produrranno risultati concreti, nella speranza che il prossimo vertice possa tenersi in un contesto internazionale più favorevole e meno instabile.
Note
[1]L’8 gennaio 2023, alcune migliaia di sostenitori di Bolsonaro diedero sfogo alla loro protesta contro il risultato elettorale occupando il Parlamento, la Corte suprema e altri palazzi istituzionali brasiliani. L'ex paracadutista, capitano dell'esercito, ha sempre rigettato l'accusa di essere coinvolto nel tentato golpe.
[2] Il neologismo è stato utilizzato nel 2014 dal filosofo Luciano Floridi nel suo libro “The Onlife Manifesto- Being Human in a Hyperconnected Era”, che raccoglieva i risultati del progetto “Onlife Initiative: concept reengineering for rethinking societal concerns in the digital transition”, istituito dalla Direzione Generale per le Reti di comunicazione, dei contenuti e delle tecnologie della Commissione Europea. Come suggerisce la parola, con “onlife” ci si riferisce all’esperienza umana attuale, dove “non si distingue più tra online o offline, e dove non è più ragionevole chiedersi se si è online e offline” data la compenetrazione tra analogico e digitale prodotta dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
[3] Per ulteriori approfondimenti sulla storia del Partido dos Trabalhadores e del Brasile recente si rimanda a:
in italiano, Disuguaglianza territoriale e inclusione degli outsiders in Brasile: la questão Nordeste, dall’origine all’era Lula, Visioni LatinoAmericane, Anno XIV, Numero 27, pp. 54-76, 2022;
in inglese, Lamento Sertanejo, New Citizens, Messianic Leaderships And The New Centrality Of The Northeast In Brazilian Politics, America e Americhe, Aracne Editore, 2023;
in spagnolo, Transformaciones de los partidos y transiciones democráticas inacabadas: el Partido dos Trabalhadores en Brasil in “Derechas a Izquierdas en el siglo XXI”,Instituto Electoral de Guanajuato - SOMEE - Universidad de Guadalajara, 2024.
El Partido dos Trabalhadores y el sistema institucional brasileño, entre participación popular y conservación del status-quo (1980-2002) in Memorias da V Jornadas Internacionales de Estudios de América Latina y el Caribe Escenario regional de ofensiva capitalista y rebeliones populares, Instituto de Estudios de América Latina y el Caribe, UBA, 2022
El Brasil de Lula y Dilma: la izquierda brasileña desde el “complexo dos vira-lata” hasta un país de “clase media” (y regreso)" on Millars. Espai i Història, vol L 2021/1- pp 17-41
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