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Amarcord: 1945, Mariano Comense e con l’Unità iniziò la festa...

Aggiornamento: 10 ago

di Marco Travaglini


Come tutte le estati, ininterrottamente dal 1946, l’area della Lucciola a Villadossola ospita da ieri fino al 17 agosto la tradizionale Festa de l’Unità, una delle più grandi di tutto il Piemonte. Molti appuntamenti si sono già svolti in tutta la regione e altri seguiranno fino alla festa organizzata dal Pd torinese che si terrà dal 6 al 16 settembre nella Piazza d’Armi del capoluogo.

Quella delle feste popolari che portano il nome dello storico quotidiano fondato da Antonio Gramsci è una lunga storia che ebbe inizio il 2 settembre 1945, una domenica, nelle brughiere a ovest dell’abitato brianzolo di Mariano Comense dove venne organizzato il primo appuntamento. La guerra non aveva neppure svoltato l’angolo della storia e forte si avvertiva il bisogno di stare insieme e fare festa, pur mantenendo una forte impronta politica. L’idea era partita direttamente da Gian Carlo Pajetta (dal 1933 al 1943 nelle carceri fasciste) e dagli esuli che l’anno prima avevano partecipato nella Parigi liberata alla festa de L’Humanitè, l’organo del Partito Comunista Francese. Milano era semidistrutta dalle bombe e si decise di trasferire l’iniziativa in una zona periferica. Così la scelta cadde su Mariano Comense dove, dal 1944, si erano insediate alcune industrie sfollate dal capoluogo lombardo e fra queste la Breda dove, tra gli operai, si contavano molti militanti del Pci. Nei boschi tra la zona delle fornaci e Lentate sul Seveso, al Casin del Porta, si svolse la “grande scampagnata de l’Unità”. Per “testimoniare la ripresa di una nuova e gioconda vita di popolo”, come si poteva leggere sul programma, si diedero appuntamento migliaia di lavoratori accompagnati dai famigliari. A Mariano giunsero con ogni mezzo di trasporto: dalla bicicletta ai treni delle Ferrovie Nord, dalle motociclette ai camion. “Un autocarro portava sette botti di vino, da distribuire alla spina, con i bicchieri di vetro. E c’era anche qualcuno che provò a bere dalla bottiglia, a garganella”, ricordano alcuni dei più anziani, dei pochi ancora viventi che “c’erano” quel giorno. “E i salamini, le costine di maiale, una vagonata di michette e grandi pentoloni di pastasciutta al sugo di pomodoro. Che fame avevamo, e che voglia di far festa”. 

I muri del paese vennero tappezzati da manifesti che salutavano i partecipanti alla festa ed erano firmati dal sindaco, il dottor Giovanni Del Curto, un galantuomo democristiano che venne eletto deputato alla Costituente. Oltre a mangiare, bere e ballare, il programma prevedeva un raduno ciclistico, corse podistiche, uno spettacolo teatrale per i bambini, incontri di pugilato, tiro a segno, alberi della cuccagna, corse nei sacchi, lotterie e una tombolata, con modesti premi, considerato che la guerra era terminata da poco. Poi c’era anche la parte politica, con gli interventi di Giorgio Amendola, Emilio Sereni, Cino Moscatelli, Gian Carlo Pajetta e Luigi Longo. Dalla tribuna prese la parola, salutando la folla, anche un cappellano delle formazioni partigiane. Prendeva corpo così la storia delle feste de L’Unità, un vero e proprio fenomeno di costume nell’Italia del dopoguerra, concepite come momenti d’incontro sia festosi che culturali, dove si consolidava la coscienza popolare.

Nulla era lasciato all’improvvisazione e l’appuntamento con la festa veniva preparato nei minimi particolari con organizzazione, disciplina e la consapevolezza dell’importanza dell’avvenimento. Feste politiche, vetrina di una identità che andava affermata e resa visibile, quella del PCI, di quel “partito nuovo”, voluto da Togliatti al suo rientro in Italia nel 1944 con l’obiettivo di trasformare l’ossatura clandestina e resistenziale dell’organizzazione comunista in un partito di governo, progressista e democratico. Ma, al tempo stesso, erano anche feste popolari, dove divertirsi e raccogliere i fondi necessari all’autofinanziamento.

Per interi decenni, da quel giorno di Mariano Comense ad oggi, le Feste de l’Unità (tornate alla loro denominazione originale dopo la breve parentesi delle “feste democratiche”) hanno rappresentato uno straordinario appuntamento di popolo. Tra il fumo delle griglie e i mitici tortellini, i dibattiti e le danze al ritmo di polke e mazurke, sono passate da quelle feste intere generazioni che hanno dedicato tempo e lavoro. L’impegno dei militanti non si esauriva nella gestione durante lo svolgimento delle feste perché c’è sempre stato anche un prima e un dopo, allestendole e poi smontandole (quando le strutture, come nella maggioranza dei casi, erano temporanee). Dietro alle quinte di ogni festa ci sono sempre stati il sudore e la fatica, la gioia e la passione di tanti volontari che, gratuitamente, hanno montato gli stand, avvolgendo i cavi degli impianti elettrici, acquistando i viveri, disponendo sedie o lavando enormi pile di piatti, bicchieri e posate. 

Le Feste de l’Unità - nell'immagine in alto, il comizio di Enrico Berlinguer a conclusione della Festa nazionale a Firenze, il 14 settembre 1975 - sono state rappresentate anche in numerosi film, tra i quali vanno ricordati Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci (1964), Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca (1970) di Ettore Scola, Zitti e mosca (1991) di Alessandro Benvenuti. Vicende che ha raccontato bene Anna Tonelli nel suo Falce e tortello. Storia politica e sociale delle Feste dell’Unità, edito da Laterza. In quelle pagine, senza agiografie, si svelava la storia di un pezzo d’Italia e di un grande fenomeno politico che si è fatto tradizione popolare fino a diventare patrimonio della democrazia e quindi, al di là delle idee, di tutti.

Dalla “scampagnata” del 1945, come momento di libertà e liberazione, fino alle feste degli anni ’90 senza il Pci (diventato Pds e poi DS) a quelle d’oggi con il Pd, ne è passata di acqua sotto i ponti e le feste, come l’Italia, sono cambiate molto. I ricordi di un anziano militante della provincia più a nord del Piemonte, quella di Verbania, rendono bene il clima e le differenze. “C’era voglia di vivere, e la Festa de L’Unità era uno specchio delle passioni. Anche il dissenso era sanguigno. Ricordo quando qualcuno del provinciale andava a fare il discorso alla Festa de L’Unità di S.Anna, a Pallanza. Se ai compagni andava a genio tutto bene, ma se non era gradito, apriti cielo: appena pronunciava una parola la festa s’animava in tutto e per tutto. L’orchestra provava i pezzi, dalla cucina cantavano, al bancone del bar pure, e le comande venivano fatte gridando come se tutti fossero diventati sordi. E così, all’oratore non gradito, non restava altro da fare che rimettersi i fogli in tasca e lasciar perdere. Ora, invece chi non è d’accordo non lo dice nemmeno. Se ne vanno in silenzio, voltandoti le spalle. Escono dalla porta e non li vedi più. Anche le feste non sono più come un tempo anche se, e meno male, continuano ad esserci”.


 

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