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Allarme intelligence: nell’indifferenza generale i Balcani rischiano di staccarsi dall’E

di Germana Tappero Merlo |

Impossibile non imbattersi nei Balcani nei report di sicurezza. Ed è impossibile non domandarsi che cosa potrebbe significare quell’area a breve-medio termine per il nostro Paese, come sarà evidenziato nel prosieguo del testo. Non a caso sono cerchiati nell’ultima relazione dei nostri servizi segreti, così come nei più recenti rapporti di centri studi europei sul terrorismo e radicalismo islamico, come pure in quelli sulla criminalità organizzata e transnazionale. Da qui le affermazioni circa i Balcani come “centro continentale del proselitismo (jihadista) e un potenziale incubatore della minaccia terroristica in Europa”, in cui la convergenza fra circuiti del terrore e quelli della criminalità crea profili ibridi, ossia soggetti a cavallo fra radicalità e delinquenza dediti sia all’attività di supporto e logistica criminale (immigrati illegali, documenti falsi, armi leggere etc.), sia a quella operativa terroristica. Tutto ciò favorito dall’elevata presenza dei c.d. returnees, ossia di quei foreign fighters jihadisti (circa 500 elementi, di cui si ha certezza, ma il numero sembrerebbe più elevato) di rientro dal conflitto siriano, originari del Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Albania e Nord Macedonia – tranne quest’ultimo, tutti gli altri Paesi sono a maggioranza musulmana – e di cui abbondavano i rapporti di sicurezza europei degli ultimi anni.

Distruzioni in Siria

Ma le cronache più recenti evidenziano ancora altri elementi che potrebbero portare presto a confronti critici per la stabilità e la sicurezza collettiva di questa parte d’Europa. I protagonisti sono per lo più il Kosovo e la Turchia, laddove il primo ha appena aperto la propria ambasciata a Gerusalemme, riconoscendola in tal modo come capitale di Israele ma urtando, in tal senso, la suscettibilità di Erdogan che, da parecchio tempo ormai, si sente custode di quei Balcani meridionali, a maggioranza musulmana, dopo l’indebolimento (per scelta) dell’influenza saudita e l’aumento della presenza, invece, dell’Iran. In pratica, nelle ambizioni neo-ottomane di Erdogan, il Kosovo e i Balcani di fede musulmana devono orbitare attorno alla Turchia, per rifondare quella ‘Rumelia’, ossia quella ‘terra dei romani’ – termine che indicava dal XV secolo la regione balcanica dell’Impero ottomano – di fede e cultura esclusivamente musulmana. Un progetto turco che aveva già infastidito l’amministrazione Trump e che proprio in Israele e nei suoi buoni rapporti con il Kosovo – grazie anche agli aiuti umanitari ebraici dopo il terremoto del 2019 – vi vedeva uno stratagemma per porre un freno all’espansione culturale e di influenza di Erdogan in quella parte di Europa.

Il presidente turco Erdogan

Un Kosovo che è anche un paese musulmano, quindi un’altra pedina nei piani di Trump per il riavvicinamento di quel mondo ad Israele, dopo EAU, Bahrein, Sudan, Marocco, Qatar e forse Arabia Saudita. La decisione kosovara circa Gerusalemme ebraica potrebbe quindi portare ad un’intensificazione della penetrazione turca nei Balcani, perché Erdogan è ben conscio che proprio da lì si proietta l’influenza delle medie potenze del Vicino Oriente sul Vecchio Continente, mentre il neopresidente degli Usa Joe Biden non si è ancora compiutamente espresso sui Balcani. Le alternative sono poche, ossia le alleanze strategiche con Serbia o Bosnia, oppure poggiare dal centro della penisola, e il Kosovo è l’avamposto ideale. L’espansione neo-ottomana di Erdogan sembrava, infatti, essere una preoccupazione non di poco conto per gli Usa di Trump, ma pare non essere una priorità per l’Unione Europea e men che mai per la classe politica italiana, laddove il nostro Paese, nella regione balcanica meridionale, è stato surclassato per intraprendenza economica e commerciale persino da Israele. Un metterci tutti all’angolo, quindi, che sembra essere ormai una costante, come in Libia. Quella nei Balcani, inoltre, sarebbe per l’Italia solo l’ennesima dimostrazione del suo peso scarso o addirittura nullo nella politica internazionale con i paesi con cui condivide le acque dei mari che la circondano. Mari che hanno un peso strategico oltre le loro ricchezze in idrocarburi o per le rotte commerciali, e che ispirano movimenti e cause di colore estremo. Lo stesso mar Adriatico, che lambisce le nostre coste e quelle della penisola balcanica è l’elemento chiave di quell’insieme di concetti identitari propri dell’Intermarium che, riesumati dalla storia del secolo scorso e fatti propri da un’ideologia di movimenti europei dell’estrema destra, anche violenta, richiamano all’unione i Paesi che si affacciano sui tre mari, Baltico, Adriatico e Nero, partendo dalla Lettonia sino all’Ucraina, per riunirsi in un sostegno collettivo per la sicurezza.

Putin, presidente della Federazione Russa

Il loro obiettivo è mantenere il massimo di sovranità là dove, come nei Paesi lambiti da quei tre mari, ci si sente immersi e minacciati da un ambiente ostile. I nemici a cui i sostenitori dell’Intermarium fanno riferimento, come il Movimento Azov ucraino, di chiara ispirazione nazifascista, è il neo-bolscevismo della Russia di Putin, come pure l’Unione Europea, dato che, come si legge nei loro manifesti programmatici, è colma di “neo-bolscevismo neo-liberale, multiculturale, secolare e femminista”; e la Nato, poi, è il suo braccio armato. L’Intermarium si rivela così essere la più chiara esternazione del mancato obiettivo della UE di fare recepire, a quei Paesi dell’Europa dell’Est, l’idea di identità europea e soprattutto la sua Cooperazione strutturata permanente (PESCO) come politica di sicurezza e di difesa comune. Il centro nevralgico di questo ennesimo corso ideologico identitario estremo, proprio dell’Intermarium, è la Lettonia da dove piccoli gruppi della destra radicale riescono ad organizzare incontri e raduni, oppure a far propaganda e proselitismo attraverso piattaforme digitali, finendo per unire l’estremismo violento dal Baltico, appunto, al Mar Nero, in particolare all’Ucraina, passando per i Balcani cristiani e cattolici (Serbia), e a diffondersi nel resto dell’Europa.

Riga, capitale della Lettonia

L’Intermarium diventa così una alternativa, un terzo partito, un tropo favorito da nazi-fascisti e conservatori nazionalisti, che si considerano i veri difensori dell’Europa. Non hanno bisogno di grandi sponsor, e lo si vede nella chiara opposizione alla Russia, alla UE, alla Nato, ma anche nei rapporti molto altalenanti con le amministrazioni statunitensi, testimoniata dalla ferma convinzione che la difesa della loro identità passa attraverso le loro genti. La loro chiamata collettiva alle armi è, quindi, una costante e trova sponda nei foreign fighters di segno opposto, ossia quelli di ispirazione nazifascista, di ritorno o ancora impegnati nel conflitto stagnante ma vigoroso in Ucraina, di cui il Movimento Azov è il riferimento ideologico, al pari di un’ al-Qaeda o un Isis per il versante radicale musulmano. Fenomeni quindi in grado di riaccendere realmente lo scontro di civiltà, in nome di una difesa collettiva contro minacce di estinzione (della razza bianca e dei valori cristiani) oppure per riportare in auge un antico impero (quello ottomano). Tutto ciò che si oppone ad essi va eliminato. Una prospettiva di instabilità sull’intera Penisola, quindi, con i suoi conflitti irrisolti e quei circuiti criminali, non così remota e a pochi passi dal nostro territorio, poco oltre i nostri mari o le spiagge croate delle nostre vacanze.

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