Alla ricerca del Bene per Torino
di Pierino Crema*
Domani sera, 16 gennaio, l'Arcivescovo di Torino, Monsignor Roberto Repole, incontrerà il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, e il Presidente della Regione, Alberto Cirio, per a un confronto pubblico sulle prospettive dei nostri territori.[1] Dunque, si tratta non di un appuntamento per rafforzare la "Concordia Istituzionale", ma di una sorta di richiamo da parte della Curia Metropolitana alla politica di prestare la massima attenzione ai temi più importanti della convivenza civile, dalle molte crisi che attanagliano il mondo del lavoro alle centinaia di persone che lo perdono, invitando a pensare a un futuro del nostro territorio con un welfare che funzioni e una società più giusta e coesa.
Il Sindaco di Torino in diverse occasioni ha richiamato l’attenzione di tutti su quello che, a suo giudizio, è il principale problema di Torino: il calo demografico, denominatore comune per l'intero Paese, ma che nel capoluogo piemontese è particolarmente accentuato ed è aumentato negli ultimi anni. Torino nel 1974 aveva raggiunto 1.200.000 abitanti, scesi nel 2001 a 899.544, per attestarsi a 860.000 del 2023.
Gli abitanti sono cresciuti grazie al boom demografico che si è registrato nel Secondo dopoguerra (nel 1946 si registrò immediatamente una delle punte più alte di nascite in Italia del Novecento), ma soprattutto perché a Torino si veniva per lavorare. L’immigrazione fino a metà degli anni Settanta avveniva perché si trovava facilmente lavoro.
La Fiat, e non solo, aveva bisogno di manodopera e centinaia di migliaia di italiani si trasferirono dal Mezzogiorno e dal Nord Est per venire a lavorare in questa città. Basti pensare che nella sola Mirafiori negli anni ’80 lavoravano 57.700 tra operai e impiegati, oggi sono meno di 10.000, considerando anche gli indiretti (mense, appalti pulizie etc.).
Il lavoro è il primo bene di cui Torino ha bisogno. Le amministrazioni locali non possono fare molto, ma debbono far sentire la loro voce, ad esempio a chi oggi è a capo del Gruppo Stellantis. L’ha fatto in modo chiaro di recente Monsignor Repole, Città e Regione devono fare altrettanto.
Torino e Piemonte hanno le competenze per continuare ad essere un punto di eccellenza per l’automotive. L’indotto auto, che nel passato era mono committente, ha saputo riconvertirsi e rinnovarsi, fornendo oggi componenti auto principalmente a Germania e Francia e addirittura alla Cina (si veda la ricerca Confindustria Piemonte e Unioncamere su "Internazionalizzazione delle aziende"). Questa Città non ha futuro se pensa di sopravvivere senza l’industria. Industria, che non è solo auto, basti pensare alla crescita costante di settori come l’Aerospazio. Comune e Regione dovrebbero diventare insieme parte attiva nei confronti del Governo italiano per chiedere un piano industriale nazionale che individui le direttrici per lo sviluppo futuro: transizione ecologica, efficientamento energetico, piano del digitale. Poi ben venga la crescita del turismo e del terziario, compresi “i grandi Eventi” che fanno conoscere la città in Europa e nel mondo, creando un volano per una crescita complessiva del settore. Non possiamo però farci abbagliare dai risultati positivi sulle presenze in città di turisti e visitatori. Realtà come il commercio stanno subendo forti trasformazioni; la crisi che riguarda i negozi presenti nel nostro territorio ha visto la chiusura negli ultimi nove anni di ben 2606 esercizi nella sola città e di 4911 in tutta la provincia di Torino.
Si è finalmente capito che la contrapposizione tra Torino città industriale e Torino città turistica, città del terziario e della cultura e dell’enogastronomia, non ha più senso. Questa città avrà un futuro se saprà tenere insieme e far crescere, innovando, industria, turismo e terziario.
Gli investimenti previsti in città con il PNRR di diverse centinaia di milioni di euro (neanche per le Olimpiadi del 2006 si è avuta una massa di liquidità così elevata da investire), la Linea 2 della Metropolitana, sono occasioni da non perdere e che vedranno Torino trasformarsi nei prossimi anni. E saranno sicuramente interventi che cambieranno in meglio il volto della città.
Ma questo rischia di non bastare: il peggioramento della situazione della sanità pubblica a partire dai circa 400 medici di base che mancano in Piemonte, al personale che viene sostituito solo in parte, alla lungaggine dei processi di rinnovo delle strutture della Città della Salute che dovrebbero sostituire le Molinette: se ne parla da 20 anni, ma la prima pietra non è ancora stata messa.
Si aggrava la situazione di una popolazione sempre più anziana, aumenta il fenomeno delle persone che rinunciano a curarsi perché chi ha redditi bassi non può rivolgersi a pagamento ai privati .
E qui si introduce l’altra criticità, il welfare. La scelta del Governo nazionale di abolire il reddito di cittadinanza, di non finanziare il fondo di sostegno agli affitti (solo per Torino città 13 milioni di euro in meno e 10.000 famiglie che hanno ricevuto nell’autunno scorso il contributo) farà sì che alcune migliaia di cittadini, di famiglie si troveranno senza gli aiuti che avevano a sostegno del reddito e dell’abitare. Aumenteranno gli sfratti, le persone che chiederanno aiuto al Privato Sociale, alla Caritas, al Comune, ma le risorse a disposizione saranno inferiori per le scelte del governo che ho ricordato.
Il Comune già prevede una Imu ridotta per chi affitta a canone concordato, questo però non è sufficiente per aumentare le case in affitto disponibili nonostante varie ricerche segnalino migliaia di alloggi vuoti nella città.
Torino ha sempre più immigrati, fanno parte importante del tessuto produttivo del nostro territorio, bisogna che tutti lavorino per favorire l’integrazione, facilitando l’acquisizione della cittadinanza a chi ne ha diritto e favorendo i ricongiungimenti famigliari per chi ha scelto di restare nel nostro paese.
Concordia istituzionale dovrebbe vedere Regione e Comune sedersi a un tavolo e capire insieme come affrontare le emergenze che ho ricordato, magari modificando scelte che la Regione ha fatto cambiando i criteri di riparto delle risorse regionali riducendo i fondi trasferiti alla Città sul welfare. Anche la Città deve fare la sua parte attrezzandosi per gestire le emergenze che arriveranno.
Negli 1973 il Cardinal Pellegrino andò davanti alle tenda rossa degli operai metalmeccanici in lotta ritenendo importante che la Chiesa si confrontasse con il mondo del lavoro e con i lavoratori, cosa che da allora è diventata una costante di tutti i vescovi torinesi. L'azione pastorale di Monsignor Repole si inserisce in questa traiettoria. E non potrà che fare bene alla città.
*Consigliere comunale Pd città di Torino
Note
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