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Adda venì Spartacus

di Menandro|

[…] Allora Spartaco cercò di raggiungere le montagne calabresi battendo duramente l’avanguardia dei Romani. La vittoria sconvolse l’animo dei masnadieri che costrinsero il loro generale a condurli nell’Apulia, per l’ultima e definitiva battaglia. Prima del combattimento Spartaco uccise il suo cavallo a significare che si trattava per tutti di vincere o morire. Nella battaglia egli combatté con il coraggio del leone: due centurioni caddero di suo mano; ferito alle ginocchia seguitò a menare colpi con la spada contro i nemici che gli erano addosso. Così il gran capitano degli schiavi e i migliori suoi compagni d’arme incontrarono la morte degli uomini liberi e dei soldati d’onore.” A pagina 1058 della sua monumentale Storia di Roma (Curcio, 1965), lo storico premio Nobel Teodoro Mommsen descrive così l’ultima battaglia del trace Spartaco, lo schiavo di nobile origini che dal 73 a.C. per alcuni anni diede scacco alla potenza di Roma e alle sue legioni. La figura di Spartaco divenne universalmente famosa ad inizio degli anni Sessanta del Novecento grazie ad Hollywood e ad un grande (e democratico) attore, Kirk Douglas, che volle portare sullo schermo la storia che avrebbe dovuto simbolicamente, e in maniera definitiva, liberare anche gli Stati Uniti dalle catene di un’altra schiavitù: quella del maccartismo. Era stata la stagione del senatore McCarthy con la sua caccia alle streghe, con la sua tossica Commissione d’inchiesta alla ricerca del sospetto di socialismo e di comunismo negli Studios cinematografici. Non a caso, la sceneggiatura del film fu affidata dal produttore (Douglas) a Dalton Trumbo, scrittore messo all’indice dal maccartismo, licenziato dalle Major americane, perseguitato dalla Fbi, costretto per sopravvivere a scrivere sceneggiature sotto pseudonimo. E alla regia non arrivò altrettanto per caso uno qualunque, ma Stanley Kubrick, con cui il film vinse quattro Oscar. Statuette contro la schiavitù, di qualunque genere. E stanotte ho sognato Spartaco. Era nelle campagne del Brindisino accanto a Camara Fantamadi, il giovane originario del Mali, che ieri l’altro è morto di fatica, dopo ore e ore di lavoro a zappare la terra per 6 euro all’ora. Il sole era cocente in una giornata di afa irrespirabile, si legge nelle cronache dei giornali. Nel sogno Spartaco cercava di soccorrere lo stremato Camara caduto di bicicletta nel tentativo confuso di ritornare a casa del fratello, dimora vissuta forse negli ultimi istanti come salvifica di una vita d’inferno, di una vita da schiavo negli anni Venti del XXI secolo. E nel mentre, osservando quella stessa campagna brindisina da cui erano partiti i legionari di Roma per sconfiggerlo, Spartaco prometteva a se stesso di ritornare a combattere con la forza delle leggi, della mobilitazione civica e delle coscienze che non hanno il portafoglio dalla parte del cuore, per sconfiggere lo sfruttamento che inevitabilmente finisce nella schiavitù che è anche psichica. E qui mi sono risvegliato circondato da giovani, donne e uomini, amministratori locali, sindacalisti, preti, imprenditori perbene, gente che ancora crede che lottare contro l’indifferenza equivalga a combattere per un mondo migliore. Ma sto ancora sognando?

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