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A Valdieri, quale storia si vuole raccontare alle nuove generazioni?

di Domenico Ravetti*


Il 19 settembre del 1943 a Boves, nella Granda, a pochi chilometri da Cuneo, si consumò il primo eccidio nazifascista: 350 case date alle fiamme e 25 persone trucidate, tra cui il parroco don Giuseppe Bernardi ed il suo vice don Mario Ghibaudo. Sempre nel settembre del 1943 a Borgo San Dalmazzo veniva creato un campo di concentramento per riunirvi gli ebrei in attesa di essere deportati nei campi della morte nazisti. Il 21 novembre di quell’anno, dalla stazione di Borgo partiva un convoglio diretto ad Auschwitz con 329 persone. Queste sono le storie che devono essere ricordate nei momenti commemorativi, ma soprattutto che abbiamo il dovere di raccontare alle giovani generazioni. Di qui la mia perplessità alla decisione del Comune di Valdieri di concedere al signor Emanuele Filiberto di Savoia, nipote di Umberto II, ultimo re d'Italia, il "Re di maggio", la cittadinanza onoraria. Ora, pur mantenendo integra la libertà di un sindaco e della sua amministrazione comunale di assegnare un riconoscimento di così alto valore simbolico, la concessione della cittadinanza onoraria ad un discendente di Casa Savoia merita una riflessione pubblica non svilita da faziosità e polemiche ideologiche. Infatti, con la cittadinanza onoraria normalmente si vuole celebrare la vita e l’impegno di una persona. Nel caso del Comune di Valdieri, invece, vorrebbe essere il riconoscimento del legame storico tra Casa Savoia ed il territorio di Valdieri, quale “elemento fondamentale della nostra identità locale”.

A questo punto, però, credo sia corretto chiarire, o almeno provare a non fare confusione e precisare, che a fondare l’identità delle nostre montagne, a cominciare da quelle del cuneese, è stato soprattutto il “sangue resistente” sparso da coloro che all'indomani dell'8 settembre 1943 presero la via delle armi e combatterono gli occupanti tedeschi per riscattare il nostro Paese dall’ignominia del nazifascismo. Alla quale la Monarchia sabauda aveva concorso e di cui era stata fautrice. Ciò che mi preme ribadire con forza è che la monarchia porta gravi ed imperdonabili responsabilità nell’ascesa di Mussolini, nell’instaurazione della dittatura fascista, nell’alleanza con Hitler, nelle guerre di aggressione, nelle leggi razziali che ci resero complici dello sterminio. È altrettanto vero che gli eredi non possono essere considerati colpevoli per quello che è successo, ma la società in cui viviamo merita di non dimenticare.

Per questa ragione, pur nella libertà di concedere premi a chi è considerato adatto a riceverli, credo si debba cogliere l’occasione per raccontare la sostanza della storia così come è davvero stata vissuta. Ai funerali di Vittorio Emanuele nel Duomo di Torino lo scorso febbraio non c’era il Gonfalone della Regione Piemonte e i rappresentanti delle istituzioni presenti lo erano solo a titolo personale. Questo, perché è fondamentale distinguere tra "l’umana pietà" e il pubblico riconoscimento. Nessuno può negare che cosa i Savoia hanno rappresentato per l’Italia e per il Piemonte, ma sappiamo che se oggi viviamo in un Paese libero e democratico lo dobbiamo ai Duccio Galimberti, Livio Bianco, Ignazio Vian, e a tutte le donne e gli uomini che dopo l’armistizio e il crollo dello Stato, l'abbandono di Roma con la fuga della Monarchia a Brindisi, scelsero di stare dalla parte giusta della Storia. Tra costoro ci furono anche diversi monarchici, ma non ci furono né il bisnonno di Emanuele Filiberto, Vittorio Emanuele III, né il nonno. Questa è la storia com’è stata davvero vissuta e come abbiamo il dovere di raccontarla.


*Vice Presidente Consiglio regionale del Piemonte e Presidente del Comitato Resistenza e Costituzione della Regione Piemonte

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