8 marzo, osservazioni su femminismo e intersezionalità
- Olga Melodia
- 8 mar
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Aggiornamento: 8 mar
di Olga Melodìa

L’8 marzo, Giornata internazionale della donna, rappresenta non solo un’occasione di commemorazione delle lotte per l’emancipazione femminile, ma anche un momento di riflessione critica sulle strutture storiche e teoriche che hanno codificato l’oppressione di genere. Il dibattito femminista contemporaneo si è progressivamente arricchito di nuove categorie epistemologiche, tra cui la nozione di intersezionalità, concetto elaborato negli studi critici della seconda metà del Novecento. Questa prospettiva decostruisce le narrazioni essenzialiste dell’oppressione, evidenziando l’intreccio sistemico tra classe, razza e genere come articolazioni di una più ampia morfologia del dominio.
Il materialismo storico, nella sua impostazione marxista, aveva già tematizzato la questione della subordinazione femminile in relazione alle strutture economico-sociali. Friedrich Engels, in particolare, rintracciava nell’emergere della proprietà privata il principio strutturante del patriarcato, mentre Antonio Gramsci introduceva il concetto di subalternità, fornendo un quadro teorico che permette di comprendere la condizione femminile come una dinamica relazionale inscritta nei rapporti di forza egemonici.
In questa prospettiva, il dialogo tra marxismo e femminismo intersezionale si pone come una chiave di lettura fondamentale per interpretare le dinamiche dell’oppressione nella contemporaneità. Il rinnovato protagonismo delle mobilitazioni dell’8 marzo, sempre più orientate verso una critica sistemica del capitalismo neoliberale, segnala la persistente attualità di un’analisi che coniughi il genere con le logiche materiali del potere.
Engels e la genealogia storica dell’oppressione femminile
L’elaborazione engelsiana, sviluppata in L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), costituisce un tentativo pionieristico di inserire la questione di genere all’interno di una griglia analitica materialista. Engels individua nella transizione dalle forme comunitarie primitive alle società basate sulla proprietà privata il punto di svolta che segna l’assoggettamento strutturale della donna. La famiglia monogamica patriarcale diventa il dispositivo attraverso cui si sancisce la trasmissione ereditaria del capitale, subordinando la donna all’autorità maschile.
L’operazione concettuale di Engels è radicalmente innovativa poiché smantella ogni visione ontologica della subordinazione femminile, inscrivendola invece in una logica di determinazione storico-sociale. La prospettiva engelsiana anticipa, in modo embrionale, alcune riflessioni dell’intersezionalità, nella misura in cui introduce il concetto di doppia oppressione: la donna proletaria subisce non solo lo sfruttamento capitalistico in quanto lavoratrice, ma anche la subordinazione patriarcale in quanto donna.
Il nesso tra classe e genere, individuato da Engels, trova una corrispondenza nelle recenti mobilitazioni femministe, le quali, specialmente in occasione dell’8 marzo, hanno rilanciato lo sciopero come pratica politica, riconnettendo la questione di genere alle dinamiche dello sfruttamento capitalistico globale.

Gramsci, subalternità e questione femminile
All’interno della tradizione marxista, Antonio Gramsci offre un ulteriore sviluppo teorico con il concetto di subalternità, che consente di ampliare la comprensione dell’oppressione oltre la dimensione puramente economico-produttiva. Nei Quaderni del carcere, Gramsci problematizza la condizione delle classi subalterne non solo in termini di dominio economico, ma anche come fenomeno culturale e ideologico, inquadrandolo nel più ampio processo di egemonia.
La questione femminile si innesta in questa cornice concettuale: sebbene Gramsci non sviluppi un’elaborazione organica del femminismo, i suoi studi sulla costruzione dell’egemonia culturale offrono strumenti preziosi per analizzare la subordinazione delle donne all’interno delle strutture sociali. L’approccio gramsciano consente di leggere la condizione femminile non solo come effetto della struttura economica, ma anche come prodotto di una pedagogia culturale che naturalizza la subordinazione attraverso la produzione di senso e il controllo simbolico.
L’intersezionalità trova in Gramsci un interlocutore teorico potenzialmente fecondo, nella misura in cui riconosce la multidimensionalità del dominio e la necessità di una lotta politica che non si limiti a una rivoluzione economica, ma che investa le strutture della soggettività e del discorso.

Le teorie di Angela Davis e bell hooks
A partire dagli anni Ottanta, la nozione di intersezionalità ha assunto una centralità crescente nel pensiero femminista, specialmente grazie ai contributi delle teoriche nere come Angela Davis e bell hooks (pseudonimo di Gloria Jean Watkins, a sinistra nella foto). Queste autrici hanno evidenziato come il femminismo bianco borghese avesse a lungo ignorato le specificità dell’oppressione vissuta dalle donne non bianche e proletarie, sottolineando la necessità di un’analisi che connetta genere, razza e classe.
Angela Davis, in particolare, ha recuperato il pensiero marxista per dimostrare come la subordinazione femminile non possa essere separata dalla logica di accumulazione capitalistica. La sua analisi svela il legame inscindibile tra il sistema produttivo e le gerarchie sociali, proponendo un femminismo che non sia meramente identitario, ma strutturalmente anticapitalista.
Questa prospettiva ha trovato un riflesso nelle recenti mobilitazioni dell’8 marzo, nelle quali il femminismo intersezionale ha assunto una posizione centrale. L’adozione dello sciopero come strumento di lotta segna una rottura con le forme più liberali del femminismo, riaffermando la necessità di una critica radicale delle strutture materiali del potere.
Conclusioni
L’8 marzo si configura, dunque, come un’occasione privilegiata per una riflessione sulle intersezioni tra genere, classe e razza, nonché sul ruolo che il materialismo storico può ancora giocare nell’elaborazione di un femminismo critico e trasformativo.
La questione centrale resta la relazione tra lotta di genere e lotta di classe: mentre l’intersezionalità ha il merito di evidenziare la molteplicità delle oppressioni, permane il nodo teorico riguardante il primato della struttura economica rispetto alle altre forme di dominio. È possibile una piena emancipazione delle donne in assenza di una trasformazione radicale dei rapporti di produzione?
In questo senso, il dialogo tra marxismo e femminismo intersezionale non è solo un esercizio teorico, ma un’urgenza politica. L’8 marzo non deve ridursi a un rito simbolico, ma deve essere riaffermato come giornata di lotta, in cui la critica dell’oppressione di genere si intreccia inestricabilmente con la critica del capitale. Il femminismo, per essere realmente emancipatorio, deve necessariamente essere materialista, intersezionale e anticapitalista, capace di articolare una visione trasformativa che vada oltre le rivendicazioni settoriali, per mettere in discussione le fondamenta stesse del sistema sociale ed economico.
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