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2 Aprile: giornata mondiale della consapevolezza dell’Autismo

Nel 2007 l’Assemblea generale dell’Onu ha dichiarato il 2 aprile Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo (WAAD, World Autism Awareness Day). Secondo la definizione corrente l’autismo è “la perdita del contatto con la realtà e la corrispondente costruzione di una vita interiore propria, che viene anteposta alla realtà stessa: è frequente nella schizofrenia e in alcune psiconevrosi”. L’Autismo infantile è un “disturbo che si manifesta nei primi anni di vita, caratterizzato dal mancato sviluppo di relazioni sociali e affettive, difficoltà nell’uso del linguaggio, apatia, ripetitività nei giochi e rigidità nei movimenti”. Sul sito del Ministero della Salute sono visibili le cifre che riportano ad una angoscia muta, silente, discreta per timore di esporre chi è affetto dall’autismo: “La prevalenza del disturbo è stimata in 1 su 54 tra i bambini di 8 anni negli Stati Uniti, 1 su 160 in Danimarca e in Svezia, 1 su 86 in Gran Bretagna. In età adulta pochi studi sono stati effettuati e segnalano una prevalenza di 1 su 100 in Inghilterra. In Italia si stima che 1 bambino su 77, nella fascia di età 7-9 anni, presenti un disturbo dello spettro autistico”. Fin qui la descrizione. Dietro le quinte di migliaia di diagnosi, il calvario, lo smarrimento di milioni di famiglie, il pudore unito al timore di non esporre chi è affetto dall’autismo. Una malattia di cui fino agli Ottanta non si è parlato. Nel passato, le famiglie preferivano l’omertà o se vogliamo la negazione, paralizzate com’erano dalla paura di vedere i loro figli finire in manicomio, privi di un’assistenza specifica. A sgretolare quel muro fu paradossalmente la mecca del cinema, Hollywood con una pellicola di successo internazionale, che terremotò letteralmente le coscienze. Quel film, “Rain man” (L’uomo della pioggia), 1988, regia di Barry Levinson, con una sublime interpretazione di Dustin Hoffman, affiancato da un giovane Tom Cruise all’apice del successo e dall’intensa recitazione di Valeria Golino, racconta la storia di due fratelli, uno dei quali autistico, cui il padre ha lasciato l’intera eredità. Non a caso si parla di soldi. Perché il problema rimane, ieri come oggi, l’assistenza e dunque un’esposizione economica per le famiglie, la società e il sistema di welfare che segue le decine di associazioni sorte sul nostro territorio per dare una risposta efficace alla richiesta di dignità che è dovuta a chi soffre della patologia. Ma l’autismo non soltanto una questione da affrontare sul piano economico. In primo luogo, come per tutti i soggetti fragili, c’è bisogno di sensibilità collettiva e dunque di attenzione. In una parola di continuità che non può essere affidare ad una giornata per quanto alta nel suo valore simbolico. Poi c’è bisogno di ricerca, di studi clinici, di soluzioni diverse finalizzate a integrare i bambini autistici nella società, tra i loro coetanei, senza che ciò desti curiosità morbose, ma che sappia generare altruismo.

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